Sono stata, in passato, una pessima architetta? Forse questo titolo è fuorviante – non sono mai stata totalmente pessima né ora ho smesso del tutto di esserlo – ma il titolo mi serve per aggiungere un tassello della mia esperienza a quanto già raccontato finora, non per celebrare il mio egocentrismo, ma per condividere esperienze positive e negative che possano essere di qualche utilità per chi fa o farà il mestiere dell’architetto/architetta.
In un post precedente ho provato a ripercorrere le varie tappe della mia esperienza lavorativa, accennando anche ad una breve parentesi in cui sono stata una libera professionista “vera” e non solo “sulla carta”. Il fattaccio è capitato in una pausa di riflessione fra la collaborazione con uno studio di architettura e quella con una società di ingegneria. Avevo trent’anni, ero laureata da sei, e quindi non posso dire che fossi del tutto alle prime armi, ma fino ad allora non mi ero mai occupata completamente da sola di un progetto, della relativa pratica edilizia e di un cantiere solo “mio”. Quindi questo post è indicato per chi è agli inizi di questa professione o per chi voglia ridere alle mie spalle.
I primi lavori da freelance arrivano quasi sempre tramite amici e parenti e – per carità – dobbiamo ringraziarli per questo – ma è anche vero che quando sei tu il famoso cugino che si fa pagare poco e che il lavoro lo fa meglio e più in fretta, lasciatemi dire che son cazzi.
Per inesperienza, si cade abbastanza inevitabilmente nell’errore di farsi incastrare in questi lavori, almeno una prima volta: io modestamente sono riuscita a ricascarci in almeno quattro o cinque occasioni prima di arrivare a capire in che cosa sbagliassi e a quel punto ho lasciato perdere e fatto altro.
Ma che cos’è capitato in queste “quattro o cinque occasioni”? Lo racconto alla fine del post perché prima voglio provare a spiegare come non cascarci.
Qual è fondamentalmente l’errore che si commette? Diciamo che è duplice:
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sbagliare la parcella, ovviamente al ribasso;
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non sottoscrivere un contratto prima di iniziare a lavorare.
Perché succede?
Ci si fa pagare troppo poco – in proporzione ai casini che quasi inevitabilmente questa tipologia di lavori si portano dietro – principalmente perché si svalutano le proprie capacità, soprattutto quando si è agli inizi, e perché non si è del tutto in grado di valutare tutte le spese e le varie implicazioni che questo lavoro comporta.
Non si sottoscrive un contratto perché si ha paura di sembrare troppo formali all’amico/amica o parente che in questo caso è il nostro/a cliente e si pensa che, per questa tipologia di lavori, in fondo non ce ne sarà davvero bisogno.
Questo comportamento è sbagliato perché, ancora prima di iniziare a lavorare, si creano i presupposti per un lavoro percepito come poco professionale e sminuito anche nel suo grado di complessità.
Ci sta che si voglia fare uno sconto a chi si conosce, ma è sbagliato esagerare: bisogna essere certi di coprire le spese (stampe, telefonate, benzina per sopralluoghi, etc.), di garantirsi uno “stipendio” per il proprio lavoro (diciamo un nostro costo orario) e magari di avere anche un guadagno. Quest’ultima voce è l’unica sulla quale è possibile tagliare un po’ se si vuole operare il famoso sconto da amico, ma le due precedenti devono essere coperte.
Se si chiede troppo poco, va considerato che ciò andrà per forza a scapito della qualità del lavoro, perché quando ci si rende conto che si sta lavorando completamente “a sbalzo” si riconsiderano tempo ed energie destinate a quel lavoro e si fa il minimo sindacale, con insoddisfazione di tutte le parti coinvolte. O si può continuare a lavorare bene per etica professionale, ma insomma l’insoddisfazione rimane, almeno da una parte.
Per quanto riguarda il contratto, non è che si debba mettere sotto il naso della zia-cliente di turno un trattato di mille pagine in avvocatese: è sufficiente un documento che chiarisca bene qual è l’oggetto del lavoro che si andrà a fare.
Sostanzialmente questo documento dovrà contenere queste informazioni (nota bene: si tratta solo di una traccia base):
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chi sono i soggetti coinvolti e quali sono le rispettive responsabilità;
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un elenco delle attività necessarie per condurre il lavoro dall’inizio alla fine, organizzato per fasi, specificando quelle di cui vi occuperete voi direttamente e quelle che invece dovranno essere affidate ad altro/a professionista (ad esempio, aggiornamento catastale, certificazione energetica, progetto strutturale, se previsti e nel caso non ve ne occupiate in prima persona), chiarendo che comunque coordinerete voi queste altre figure;
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un elenco delle attività “opzionali” di cui potete occuparvi, diciamo dei plus, stralciabili se si vuole risparmiare, variabili a seconda del tipo di progetto (mi vengono in mente: proposte per scelta arredi, renderizzazione, assistenza nelle visite in negozi e showroom, varie ed eventuali);
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le tempistiche previste per tali attività, precisando se i tempi sono vincolati a fatti indipendenti dalla nostra volontà (ad esempio, decisioni prese dal/dalla cliente stesso/a o rilascio di permessi da parte degli Enti). In merito a questo punto, a seconda della complessità dell’opera, dovrebbe essere allegato un cronoprogramma;
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il pagamento richiesto per le attività elencate: meglio non fare forfettone, ma indicare l’importo relativo alle varie fasi, in modo che il cliente possa anche decidere di affrontarle in momenti diversi oppure stralciare quelle opzionali;
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il numero delle revisioni/varianti progettuali che intendete comprese nel prezzo esposto e il costo per ognuna di quelle extra;
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l’indicazione delle eventuali esclusioni, intese come attività di cui non vi occupate oppure come spese extra da mettere in conto (oneri, tasse, etc.);
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le modalità del pagamento e le scadenze temporali: chiedete un anticipo? richiedete il pagamento a conclusione di ogni fase progettuale o per milestone che avete stabilito?
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le condizioni per la rescissione del contratto: va indicato ad esempio che cosa succede se il cliente decide di interrompere il lavoro a metà strada e va chiarito che il lavoro fatto fino a quel momento dovrà essere retribuito (anche per questo motivo è più opportuna l’indicazione degli importi per fasi);
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gli accordi relativi a proprietà intellettuale e diritti d’autore sul progetto e sull’eventuale pubblicazione (anche in relazione all’uso dei social).
Un contratto scritto bene, non troppo verboso, ma neanche troppo sintetico perché deve essere completo e spiegare chiaramente gli argomenti, è utile a entrambi. Si può proporre di leggerlo insieme in modo che ci sia la possibilità di spiegarsi, se qualcosa non risulta chiaro, ed evitare così fraintendimenti. Non prendete quanto scritto qui sopra come oro colato – ricordate che questo post si intitola “Sono stata (anche) una pessima architetta” non a caso: piuttosto sappiate che gli ordini professionali e il Consiglio Nazionale generalmente mettono a disposizione dei contratti-tipo che sono poi personalizzabili a seconda della tipologia dei lavori.
Per buttarla un po’ in caciara sul finale, ecco le brevi storie tristi che mi sono capitate fra le prime esperienze di progetti seguiti da architetta freelance, non avendo seguito quasi per niente quanto scritto qui sopra.
Vediamo la prima.
Una mia carissima amica d’infanzia mi chiede di seguire pratica e ristrutturazione della villetta a schiera che ha acquistato con il suo compagno.
Il suo compagno non lo conosco perché nel tempo ci siamo perse di vista e quindi so poco di questa fase della sua vita.
Le faccio un preventivo da-carissima-amica-d’infanzia che a pensarci adesso mi viene da piangere.
Il lavoro ovviamente si rivela più incasinato del previsto.
La mia carissima amica d’infanzia e il suo compagno si lasciano mentre mi occupo del progetto e la casa la tiene lui.
Io continuo a seguire il lavoro ad un prezzo ridicolo per uno che praticamente non conosco.
Fine.
La seconda.
Un amico affitta uno spazio per aprire un suo negozio e mi chiede di fargli delle proposte di layout e di seguire poi la pratica e la realizzazione dei lavori.
Scopro che il mio amico è un pazzo che non va d’accordo con nessuno tranne che con me.
Spendo un numero interminabile di ore non previste in sedute psicologiche con lui al telefono.
Spendo un numero interminabile di ore non previste a tentare interventi da pacificatrice con chiunque sia coinvolto/a nei lavori: artigiani in cantiere, fornitori, proprietario del negozio, tecnici comunali.
Qualcuno mi ha mai reso tutto questo tempo – sottratto ad altri lavori – che non ero stata in grado di mettere in preventivo?
Fine.
La terza.
La Famiglia decide di ristrutturare la Casa.
Tutto bene finché la Famiglia non mi dice che vuole far eseguire i lavori ad una piccola impresa di un Conoscente, gran brava persona, che ha bisogno di lavorare.
Chiedo all’impresa tutta la documentazione necessaria per legge, che – sorpresa – arriva incompleta, in quanto, mi si dice, il DURC aggiornato è stato richiesto, ma non è ancora arrivato.
Alla Famiglia si può spiegare la situazione, ma è difficile dire di no.
A quel punto l’Impresa del Conoscente si è già installata in casa, portando materiali e allestendo il cantiere.
E’ una SCIA, quindi il Comune non deve rilasciare approvazione perché la responsabilità se la prendono il professionista e il proprietario titolare dei lavori.
Viene fuori che l’Impresa del Conoscente non è in regola con la contribuzione.
Fine.
In ultimo.
Ce ne sarebbero molte da raccontare: dagli amici che comprano casa senza accorgersi che il balcone è abusivo e poi faglielo capire che se presentano una pratica per eseguire i loro lavori, il balcone lo dovranno demolire, ma che è comunque giusto fare le cose in regola. O l’amico che vuole recuperare un appartamento per sé nel sottotetto della casa di famiglia e non gli va giù che per la nuova unità immobiliare dovrà ricavare posti auto con relativa pratica notarile che renda tali parcheggi pertinenza dell’appartamento. O, ancora, il proprietario e l’affittuario che litigano per chi debba accollarsi le spese di aggiornamento catastale e io che, pur di chiudere i lavori, penso di occuparmene gratis, anticipando anche le spese da pagare al Catasto.
Ci sono progetti che vanno via lisci anche quando ci si aspettano grandi complicazioni e ce ne sono altri che nascono semplici e mai ci si sarebbe immaginati i problemi che sono poi sorti. Prendersi del tempo all’inizio per fare le corrette valutazioni e scrivere un contratto chiaro, per punti, che ci aiuti anche a formulare un preventivo adeguato per i nostri servizi, è sicuramente il primo passo per un lavoro ben eseguito e soddisfacente per tutti.
Vi rassicuro sul fatto che a distanza di alcuni anni la mia carissima amica d’infanzia è tornata con il suo compagno di allora e oggi hanno anche allargato la famiglia: vogliamo azzardare che sia stato il progetto di una bella casa a ricucire i rapporti?! Insomma, i miei progetti da pessima architetta vi fanno pure tornare insieme al vostro ex… E prendetela come una minaccia.
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7hk9su
È consolante sapere di non essere l’unico pessimo architetto della storia che va avanti da quindici anni a forza di lavori sottopagati. Negli ultimi tempi ho anche provato a farmi pagare il lavoro extra, come opportunamente chiarito nella lettera di incarico. Risultato: reazione smodata del cliente, riconosciuta solo una parte dopo molto tempo.
Le casistiche da te riportate sono molto utili. Cose simili sono capitate a tutti. Siamo in buona compagnia.
Grazie Marta per un nuovo articolo illuminante e di grande conforto (mettiamola così..). Ancora un volta mi sembra che non sia (solo) una nostra negligenza quella che ci vede mentre non facciamo firmare contratti di incarico o mentre ci facciamo pagare due soldi per fare il nostro mestiere, che è costato, nel migliore dei casi, almeno 5 anni di università e altrettanti di pratica su uno studio, sempre sottopagati – ma almeno questo è un calvario comune a tanti. Sempre a mio avviso, sembra sia piuttosto una condizione che gli architetti devono subire per la mancanza di sensibilità – leggi Cultura – di chi questo mestiere non lo fa, per cui il contratto viene percepito come una mancanza di fiducia, per cui il compenso deve essere deciso da chi ti affida l’incarico senza che questi abbia la minima cognizione del lavoro da farsi, perchè di mestiere ne fa un altro. E’ una dura battaglia!
Grazie ancora e tanto della condivisione del tuo punto di vista sempre interessante 🙂
Grazie mille per questo commento, Francesca! Per me è molto importante che colleghi e colleghe abbiano voglia di confrontarsi.
Concordo che sia una dura battaglia, ma è nostro compito spiegare al meglio la complessità del nostro lavoro a chi non è del mestiere: e, se non ci riuscirà alla prima, non importa! Sono convinta che gli errori ci aiutino a crescere 🙂